Nella rilettura, ho notato subito che le sezioni erano ben più ricche, e le liriche in prima lettura ostiche, rilette attentamente erano comprensibilissime, e molto belle. Analizzerò ora, sezione per sezione, tutte le poesie.
La prima sezione, Barocca, dedicata a Baudelaire, comprende sette liriche, "e-gotica", che dà il nome alla silloge, poi "Ero il fiero violino", "Pinna nobilis", dedicata a Chiara Vigo, "Le viole barbare e barocche", dedicata a Pier Paolo Pasolini, "Dal silenzio assordante", "Senti anche tu il canto delle libellule", "Let’s save the Queen", dedicata a Freddie Mercury. I versi di Baudelaire, in epigrafe alla sezione, sono di rara bellezza. La prima lirica, "e-gotica", è un’alternanza di parole e concetti, magistralmente articolata in un “terremoto” di versi. La seconda, "Ero il fiero violino", è – in parte – riportata in copertina: in essa è un dialogo tra realtà (“Ero …”), ricordo (“Eri …”), e musica (un violino: a sottolineare, forse, una storia amorosa?), che torna a suonare. Non posso entrare nel merito di tutte; posso dire di preferirne due, in questa sezione: "Pinna nobilis" (ove Pinna è il mare, seta è un arazzo, e bisso è il Mediterraneo) e "Senti tu il canto delle libellule", lirica bellissima per la sua musicalità.
La seconda sezione, Lunare, dedicata alla Cvetaeva, ha dieci liriche. Riporterò soltanto i titoli di quelle che hanno un elemento caratteristico. Anche in questa sezione, due dediche: la terza lirica, "E nelle tasche mettesti", è a Virginia Woolf, ed è quasi un epitaffio alla vita della scrittrice inglese; la settima lirica "Diritto a sussurrare", dedicata alla poetessa Wislawa Szymborska, è bellissima, a mio avviso la più bella dell’intera sezione: la terza strofa, da sola, è … un paradiso! Forse altrettanto bella è "La bellezza è un tuo bacio" (la quinta): è piena di magia, incantesimo, ed erotismo che sfuma in leggerezza. Un discorso a parte va fatto per la prima lirica della sezione, "La disciplina dell’apnea", ove l’apnea è intesa come cantina, la cui riserva d’aria fa la parte dei vini che in cantina si tengono: da buon ex sub, conosco molto bene l’apnea, che – ai tempi della mia gioventù – costituiva il solo modo di fare il sub; le bombole sono venute molto tempo dopo. Degne di nota – infine – la ottava e la nona lirica, rispettivamente "Non potrai più chiamarla notte" e "Andiamo sulla spiaggia delle stelle"; chiude la sezione "Languore d’infinito".
La terza sezione, Arcaica, dedicata alla Merini, si compone di dieci liriche; nella prima, "Navigli di carta", tra le migliori, l’autrice inizia allontanando le paure, ma si chiede se il partner si interesserà ancora a lei: restano muti, e solo i gesti saranno le loro espressioni. Nella seconda, "Al cielo di gennaio", l’autrice prende il coraggio di vivere dai favori della natura. Segue "L’ombra tramata di luce": questa nasconde una storia, che l’autrice vuole rivivere lontano dal mare, dove può farlo. Al mare no: lì l’anima è cieca e sorda. "Combaciami nei vuoti" è una lirica fatta di musica: “se rimetti a posto” – dice l’autrice – “ciò che (di me) non lo è più (vuoti incompiuti, pensieri aggrovigliati), alla fine io divento musica, che tu suoni”. Anche questa – tra le migliori – ben rappresenta l’immagine felice di un momento di vita.
Seguono quattro liriche, forse un po’ meno incisive: "Mentre i cani digrignano i denti", dove si mettono a confronto le fatiche di un operaio e del poeta: sudore e fatica (operaio), e cercare il senso delle parole (il poeta è fabbro di parole). Poi "Cuore di sangue siriano", un po’ ariostesca, e "Gorgo (parole verso il mare)", dedicata al padre, suo re; ultima, "Assaltami la sera", dedicata all’oceano. Chiudono la terza sezione: "sola", molto bella e breve, lamenta la solitudine che affligge tutti (anche se non lo è, sembra dedicata al Covid-19). La si confronti con quella di tema analogo, della sezione precedente ("Sola, nel riverbero di luce", dedicata al padre). Poi – bellissima – "Non dirlo al cuore": parole che lasciano trasparire il dolore di cui dicono, ma con un finale ottimistico.
La quarta sezione, Tribale, dedicata a Jorge Luis Borges, ha sette liriche. La lirica iniziale è tra le più belle dell’opera: "Il cielo adamantino dell’aquila". Subito si affronta il tema: smuovere ciò che in noi è fermo; solo così apparirà tra “sponde di antichi rovelli” che lo nascondevano, il cielo dell’aquila, limpido e terso, come un diamante. Poi "Solstizio di te", bellissima per scelta di parole. Solstizio è perielio, vicinanza al sole che illumina e riscalda. Seguono tre liriche d’amore, "Deserto e oasi, tenda e tempesta", "Di te amo con ferocia", e "Ho voglia di te", piene di amore e desiderio. Ancora "Oscurità", dove un gatto alla conquista del territorio è paragonato ad uno squalo: efficace e calzante, nel suo contesto. Infine la più bella, sia nella sezione che nel volume: "vivo". Qui ogni verso è una sola parola: nomi e poi verbi.
La quinta sezione, Ipnotica, è dedicata ai Pink Floyd (l’epigrafe è tratta da una canzone). Otto liriche: "Fossili di luce", dove ad ipnotizzare il lettore sono le parole-espressioni ("fossili di luce", "scorci nel non-agito", "assediamo giorni"). "Medioevo-2": immagine di medioevo nel presente reale, "L’opale dello Zenit": altra immagine molto efficace. "La simmetria raggiata degli spicchi" (riferita a un agrume) evoca le dee dei miti greci Selene ed Ecate, e con esse la notte e i suoi misteri. "Sono condannata a pensarti", fin dal titolo bella immagine amorosa, molto originale "Un tempo fu casa" e "Pronuncio te", che sono anche’esse ricche di immagini, molto ricercate nella seconda lirica. L’ultima, "Poiesis", è un elogio del Fare, inteso – penso io – come far Poesia. Bellissime le immagini che alcune parole sottendono: “minerale boschivo … estasi d’opale …”
Per concludere, alcune considerazioni. Innanzitutto un ottimo indice, che di solito, nei libri recenti, manca del tutto, e qui invece è presente ed è estremamente comodo e maneggevole, Poi la scelta dei titoli, che a volte lascia perplesso chi legge: c’è stata una scelta ragionata, o no? In quest’opera, forse non nelle altre, si avverte per i titoli una creazione istintiva, non ragionata. Spesso è titolo solo il primo verso della lirica, e questo è confermato dall’indice.
Ciononostante, nell’ambito di ciascuna sezione c’è più di una lirica bellissima, meritoria di molti elogi. Ne ho parlato nelle righe precedenti; qui vorrei motivare qualcosa riguardo le mie due liriche preferite: "sola" (quarta della terza sezione, Arcaica) e "vivo" (settima della quarta sezione, Tribale). Per entrambe una notevole qualità è la brevità, soprattutto nel numero di parole, volutamente – ed efficacemente – scarso.
Poi, in "sola", echeggia quello che tutti stiamo vivendo con la pandemia, che ci tormenta rendendoci più soli nelle nostre vicissitudini quotidiane: questo emerge prepotentemente dalla lirica. In "vivo" è la musica di questa cascata di versi monoverbo (basta provare a leggerla ad alta voce), cascata che è come se aumentasse di forza man mano che scende, idealmente alimentata da altri “affluenti”, fino a irrompere prepotente col suono dell’ultimo verbo: VIVO !
Detto questo mi sento di concordare con quanto detto sia nella quarta di copertina, sia nella postfazione. E sono perfettamente convinto che quest’opera possa assurgere a vette molto alte, e concorrere anche a premi importanti. Ne consiglio la lettura a tutti.