tutto quel cigolio del legno a lungo dietro
la pendola, tutto quel picchiettare d'antennine
quel fornicare ossuto trapanante, quel ritmo
da becco infisso, fesso, affranto, seppellito
nell'antro retro delle orecchie
nella busta della stanza l'invisibile mattanza
carezzava con zampette a spremitura, a usura
unghiate dai pori del tavolo salivano fino al tetto
ghermivano le travi, scendevano in sfrigolii
giù sui pomi d'ebano del letto, recalcitravano
in crampi, arabescavano cornici, trafiggevano
schienali traforando zampe di sedie e divani
poi il culmine toccò l'abisso, e lì a terra
nella stagnola in guazza nera di petrolio
ecco in galleggio il tarlo, o meglio a dire
quel che restava della minima bestiola
felice l'uomo festeggiò il ritrovato silenzio
con acute note di festa ipotizzando con tecnica
di scienza di brevettarne l'uso di quel corpo
in poltiglia, farne un riciclo del legname
per qualche municipio d'Africa che ha fame
(Silvana Baroni)
sarebbe ricominciato, un incubo, in Silvana Baroni, Perdersi per mano, Tracce, 2012 [ * ]