ANDREA CAMILLERI SCRITTORE. STORIE DI UN COMMISSARIO A MISURA D'UOMO E... DI SICILIANO!

Per me, grande appassionato di lettura, scegliere nella rosa degli scrittori proposti al nostro circolo dalla organizzazione della manifestazione “Libri come” [ * ], è stato alquanto facile. Debbo, però, fare una breve premessa.
Da circa un anno o poco più sto aiutando una mia amica di infanzia ad accettare un malanno che la sta privando (al momento, purtroppo, l’ha quasi completamente privata) del senso più importante per chi ha piacere nella lettura: la vista. E la nostra amicizia – tema centrale di un piccolo libro di ricordi che sto scrivendo – mi fa soffrire quasi quanto soffre lei. Nelle mie visite di aiuto, la mia amica ha espresso il desiderio che le leggessi qualcosa, ed io, un po’ per la mia passione e un po’ per le mie origini siciliane, ho scelto di leggerle qualcuna delle storie di Andrea Camilleri sul commissario Montalbano. Sono stato agevolato dal recente acquisto del volume “Racconti di Montalbano”, apparso negli Oscar Mondadori, che contiene alcuni racconti già presenti in precedenti raccolte ( “La prima indagine di Montalbano”, ”Gli arancini di Montalbano” e “La paura di Montalbano”, quelle nelle quali ho trovato alcuni dei racconti riprodotti anche qui). Così, ho iniziato a leggerle le storie di questa raccolta, e la cosa la diverte ancora molto, alleviandole la pena di non vedere, e le permette quindi di servirsi di un lettore-amico per provare ancora il piacere dei racconti.
Ciò premesso, torno a quanto mi è stato chiesto dal coordinatore del nostro circolo di lettura: scegliere, in una vasta rosa di autori presenti alla rassegna, uno scrittore e scrivere qualcosa su una sua opera. La mia scelta è stata ovvia: lo scrittore di cui ho più letto – tra coloro che saranno a “Libri come” – è senz’altro Andrea Camilleri. E nell’opera di Camilleri, questi “Racconti di Montalbano” che sto tuttora leggendo (e rileggendo) mi appassionano particolarmente. Non voglio citarli tutti, ma soltanto scrivere sia delle doti del Commissario Montalbano, sia di uno dei racconti particolarmente affascinante e ricco: il suo titolo è “Sette lunedì”.
Voglio parlare ora dell’immagine che mi sono fatta del Camilleri scrittore, di cui conosco ed ho tra il 60 % e il 70 % delle opere. Camilleri è uno scrittore di cui ho sempre apprezzato il talento e la capacità di svolgere non solo il lavoro di scrittore, ma il “mestiere” per cui è più famoso: il regista di opere teatrali. E mi duole conoscere solo alcune delle opere da lui dirette per la televisione italiana: la più famosa è stata la serie delle storie del commissario Maigret, presa dai racconti di Georges Simenòn, e magistralmente interpretata da Gino Cervi nei panni del protagonista, e da Andreina Pagnani in quelli della “signora Maigret”. Ricordo che gli attori erano senz’altro grandissimi, ma la regia di Camilleri è ancora oggi un mito di cui all’epoca non mi resi del tutto conto, e che – forse – ho apprezzato di più ora che conosco il Camilleri scrittore. Ho citato questo “mestiere” – del quale penso che lo stesso Andrea andrà orgoglioso – perché, secondo me, la sua bravura nello scrivere ha origine da quel mestiere.
A questa immagine ha contribuito un libro-intervista di Marcello Sorgi, all’epoca (1999-2000) direttore del quotidiano “LA STAMPA”. Il libro, redatto in forma di una divertente intervista, pubblicata dall’editrice Elvira Sellerio nella stessa collana (Memoria) in cui si pubblicano i libri di Camilleri, è intitolato “La testa ci fa dire”. In questo libro Sorgi pone a Camilleri domande su tutta la sua vita. L’ho riletto proprio a proposito di questo mio piccolo intervento ed ho trovato tutto quello che si può cercare sull’autore di Montalbano (e non solo), cioè su Camilleri prima uomo di teatro, poi scrittore. Mi si perdoni il dire di Camilleri “l’autore di Montalbano”: so che non è vero, ma desideravo dirlo.
Voglio quindi parlare un po’ del Camilleri autore di questo splendido Commissario di Polizia nostrano, che lo ha reso così famoso: il Commissario Montalbano, figura particolare che tutti – lettori e telespettatori – conoscono bene almeno per tre ragioni:
- è italiano e sicilianissimo (nome di battesimo Salvo, diminutivo di Salvatore);
- l’interpretazione televisiva del personaggio che ne ha dato e continua a dare Luca Zingaretti è sicuramente parte del mito di questo Commissario;
- ha le caratteristiche di un Commissario della Polizia Italiana: inoltre è, nel suo mestiere, estremamente umano, sempre pieno dei dubbi che tutti noi avremmo al suo posto, di fronte a casi di delitti inspiegabili e pieni di ombre.
Ma c’è secondo me un carattere, di questo commissario, che neppure la bravura di Luca Zingaretti ha saputo portare sullo schermo televisivo, e che emerge soltanto dalla lettura delle storie così come le racconta Camilleri. Qualcosa che rende le storie stesse divertenti, e ne fa uscire la figura di un Salvo Montalbano capace di scavalcare con semplicità le difficoltà che la soluzione dei casi via via gli presenta, per evitare “… il nirbùsu” (“il nervoso”, cioè l’inevitabile frustrazione che viene a tutti quando si brancola nel buio). Certo, nella trasposizione televisiva delle storie c’è un contorno che viene dai luoghi e dalla loro scelta, e questo dà colore alla storia stessa, distraendo da questo qualcosa. Ma – a coloro che amano leggere – continua a risultare migliore l’immagine che dei personaggi emerge nella nostra mente, ad opera della fantasia che ciascuno di noi possiede, ma soprattutto prodotta dalla bravura e dalla fantasia di chi scrive. Questo carattere – per quanto ho potuto individuarlo io – discende dal linguaggio che Camilleri usa nei suoi libri, in quelli di Montalbano in particolare, ma non solo. Di questo linguaggio è stato scritto tutto e il contrario di tutto. C’è chi ha detto che il dialetto non andava usato; c’è chi voleva le storie scritte unicamente in dialetto siciliano. Camilleri ha scelto di fondere dialetto siciliano e lingua italiana, e – sempre soggettivamente, secondo me – questa miscela produce molto bene l’immagine, netta e chiara, che la mente di chi legge si forma del personaggio.
Dopo aver riletto “La testa ci fa dire” (libro che mi sento di raccomandare a tutti coloro che amano leggere le storie del Commissario Montalbano, per conoscere molto più a fondo il pensiero dell’autore, da lui medesimo raccontato), ho compreso il perché di questo linguaggio ibrido. Camilleri dice chiaramente che – quando ha lasciato la Sicilia per lavorare a Roma – lui continuava a pensare in siciliano e solo dopo aver tradotto questi pensieri in italiano usava la lingua patria. Penso che questo sia fondamentale per capire la genesi del linguaggio delle storie di Montalbano: molto del dialetto viene fuori nei pensieri del Commissario, o nelle tirate di un personaggio come Catarella. Io vado un mese all’anno in Sicilia, essendo i miei originari di Patti (provincia di Messina), e mi succede, seguendo proprio lo stesso filo di cui parla Camilleri, dopo qualche giorno di ambientamento, di tradurre i miei pensieri italiani in siciliano, per riuscire a dialogare con i Pattesi. Facevo questo, inconsciamente, già a 10 – 12 anni, con grande timore di mia madre, che pensava che – al ritorno a Roma – avrei continuato a parlare in dialetto.
E va soprattutto sottolineata la caratterizzazione dei personaggi, nella quale Camilleri si dimostra davvero un maestro. Montalbano stesso, Fazio, Augello, Catarella escono dalle storie di prepotenza, quasi visibili a chi legge.
Dicevo prima di “Sette lunedì”, una storia che ha forse un notevole grado di “suspénse”, per il fatto che l‘assassino si limita ad uccidere (sempre di lunedì) un animale, lasciando sul luogo del delitto un pezzetto di carta con una scritta che parlava di “contrazione”. Frasi del tipo: «Comincio a contrarmi», «continuo a contrarmi», e così via. Non voglio raccontare la storia, ma solo cogliere tutto lo sgomento che il Commissario Montalbano prova di fronte a questo strano comportamento del mattatore di animali.
Gli indizi raccolti dal Commissario, assieme ai suoi bravi e provvidenziali collaboratori Augello e Fazio, lo portano dapprima a capire che – tramite queste uccisioni di animali – il misterioso assassino cerca di comunicare qualcosa. Indagando prima sulle iniziali degli animali e non giungendo a capo di nulla, il Commissario si concentra sulle iniziali dei padroni degli animali uccisi e riesce a ricostruire una frase. “ecco Dio”. Gli animali uccisi fino alla lettera i della seconda parola (Dio) erano sei, via via sempre più grandi: il commissario, incerto sulla mossa finale dell’assassino e deciso a smascherarlo prima del settimo delitto, organizza di radunare in un cinema tutti coloro che, in paese, avevano il cognome che iniziava con la “O”, per evitare delitti su persone anziché su animali. Ma la tensione che pervade Montalbano, nell’ansia di prendere il colpevole prima che esso compia il delitto finale (configurabile come una strage, non di animali ma di persone) è resa benissimo dalla lettura della parte finale della storia. E questo fatto emerge proprio, a mio avviso, dal particolare linguaggio con cui Camilleri dipinge il suo personaggio.
Voglio soffermarmi ancora su questo linguaggio. Io – di solito – leggo senza voce, solo con gli occhi e quindi non sento neppure la mia voce. Nel caso della lettura alla mia amica, invece, Camilleri e le sue storie di Montalbano le ho lette a voce alta, ed ho potuto verificare l’effetto del linguaggio di Camilleri sulla mia amica. Con lei abbiamo passato assieme tutta la vita, fin dai miei sette anni (lei ne aveva cinque), e quindi conosco molto bene le sue espressioni. E l’effetto del linguaggio di Camilleri è davvero divertente, anche se ho faticato non poco per cercare di rendere quel linguaggio divertente oltre le sue caratteristiche. Il mix che Camilleri fa di italiano e siciliano è realmente qualcosa di particolare, quando lo si legge a voce alta. E la mia lettura a voce è estemporanea, perché – come ho detto – di solito leggo con gli occhi e non con la voce. Non sono affatto d’accordo con i detrattori di questa scelta, che secondo me costituisce l’origine di gran parte del successo dell’autore di Montalbano.
Torno a ”Sette lunedì”, per raccontare il finale della storia, ed aggiungere qualche considerazione sul motivo della mia scelta, tra le tante che potevo fare. Con una manovra che doveva evitare la strage preconizzata, il commissario Montalbano raduna in un cinema tutte le persone il cui cognome iniziava per “O”. Guarda caso, dal gruppo dei convocati manca una persona, che a Montalbano risulta essere proprio il possibile sospettato. Alla fine di una concitata ricerca, Montalbano rintraccia la tomba di famiglia di questo signore la cui parte inferiore risultava carica di dinamite, alla vigilia del giorno dei morti!. Tornati di corsa al cinema ove erano state radunate le potenziali vittime della strage, Montalbano trova l’indiziato e, con un abile stratagemma, riesce a catturarlo impedendo una strage, anch’essa a base di dinamite.
Ho scelto questo racconto, che fa parte delle raccolte “Racconti di Montalbano” e “La prima indagine di Montalbano”, entrambe pubblicate da Mondadori, perché è particolarmente espressivo circa il linguaggio e quello che ho detto sul come tale linguaggio riesca a trasmettere al lettore i sentimenti che prendono Montalbano nel corso del suo lavoro. Sempre a mio giudizio, trovo che il linguaggio che Camilleri utilizza nelle sue storie è davvero un significativo contributo al successo librario delle storie stesse.
(Lavinio Ricciardi)
Andrea Camilleri, Racconti di Montalbano, Mondadori, 2009 [ * ]
Marcello Sorgi, La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri, Sellerio, 2000 [ * ]
Andrea Camilleri, La prima indagine di Montalbano, Mondadori, 2005 [ * ]