TRILOGIA DELLA CITTA' DI K.

Trilogia della città di K. è un libro forte e duro, che ho letto tutto d’un fiato. La storia è avvincente e i fatti essenziali scorrono e si rincorrono con velocità.
L’autrice, Agota Kristof, utilizza uno stile che ben s’adatta alle tragedie e alle violenze a cui assistiamo, a cui partecipiamo nostro malgrado, leggendo. E’ uno stile secco, dove solo ciò che conta viene detto, senza abbellimenti. Ci sono molte proposizioni principali e sono quasi assenti le secondarie. I punti frequenti rendono il ritmo del discorso spezzato, semplice e aspro. Ci sono parole, soprattutto quelle che stanno alla fine dei capitoli, che sono frecce pungenti che si conficcano nella piaga e la aprono per bene prima che abbia tempo di richiudersi. E’ comunque una scrittura scorrevole, sconvolgente e avvincente, che porta il lettore ad aspettarsi di tutto e lo tiene dentro una storia cruda e violenta dove non c’è via d’uscita al dolore e alla disperazione, tanto che è il suicidio l’unico lieto fine possibile, la conclusione più giusta e più in sintonia con il contesto.
Sulla copertina, oltre ai tre sottotitoli, leggiamo questa frase: “una favola nera dove tutto può essere il contrario di tutto…”. In realtà, nel dipanarsi della storia, ci vengono date versioni leggermente diverse dei fatti e ci sono frequenti flash back che spesso confondono invece di chiarire.
All’inizio ci sono solo nomi comuni (Madre, Nonna, Grande Città, Piccola Città) e, solo dopo che abbiamo seguito già molte vicende dei due gemelli che sono i protagonisti principali, veniamo a conoscenza dei loro nomi propri. Nella prima parte, intitolata “Il grande quaderno”, serve non sapere i loro nomi per immaginarli un’unica entità indifferenziata che trae forza dal fatto di essere costituita da due elementi. Sentiamo che sono in perfetta sintonia e perciò non ha importanza individuarli come diversi, poiché in realtà sono uguali, stesse intenzioni, stessa mancanza di paura, stesso atteggiamento stoico nell’affrontare la situazione terribile in cui si trovano. Siamo in un paese dell’Est, anche questo non ben definito e sullo sfondo c’è la guerra che ha sicuramente la responsabilità storica dell’estrema povertà e della morte che campeggiano in molte pagine del libro. Tuttavia, pur avendo la guerra un ruolo determinante, non può essere comunque l’unica causa della situazione terribile che viene descritta, perché è terribile non solo a livello sociale e politico, ma anche a livello morale e fisico: per raggiungere certi livelli di violenza e di degrado si deve per forza pensare alla cattiveria umana che non ha giustificazioni pur essendo sollecitata da fattori esterni angoscianti e da situazioni oggettivamente drammatiche. I personaggi non sono solo vittime ma anche carnefici. I due bambini gemelli, privati di ogni tipo di affetto e di protezione, all’inizio sembrano buoni e forti: non piangono mai e forzano i propri comportamenti in modo disumano per adattarsi e sopravvivere al peggio che sembra loro destinato, in alcune situazioni sembrano addirittura altruisti e si può ipotizzare che possiedano un certo senso di giustizia, seppure molto personale e particolare. Nel corso della storia si mostrano capaci a loro volta di violenze e malvagità anche peggiori di quelle che hanno ricevuto, a loro volta si mostrano incapaci di dare quell’amore che non hanno mai ricevuto e vivono un disagio da cui non possono allontanarsi. I nomi dei due gemelli sono Lucas e Claus, sono uno l’anagramma dell’altro: anche i loro nomi come le loro persone si confondono. Finché stanno insieme sono un tutt’uno, ma poiché solo per uno dei due c’è la possibilità dell’evasione, ci sarà un distacco doloroso. Non ricordo chi dei due se ne è andato, forse non l’ho capito bene e dovrei rileggere più attentamente il libro per saperlo e anche per poter stabilire differenze fra loro, ammesso che sia un’operazione possibile. Dalla prima all’ultima pagina siamo coinvolti in situazioni agghiaccianti ma all’inizio, quando i gemelli si preparano insieme ad attraversare la vita, pur non essendoci spiragli di speranza, la loro unione e la forza nel sopportare i guai possono far immaginare un evolversi positivo della situazione, invece c’è un crescendo di violenza e di tragedia, dovuto soprattutto al fatto che dopo aver attraversato la vita, né l’uno né l’altro hanno trovato niente di buono. La morte è la cosa migliore che possiamo augurare a questi personaggi che a volte ci sembrano uomini mostruosi e a volte mostri umani. Sicuramente non sono persone che vorremmo incontrare.
(Luciana Raggi)
Agota Kristof, Trilogia della città di K., Einaudi, 2005 [ * ]
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