Un libro bellissimo questo della Petri. A mio avviso il più bello che ho letto, senza offesa per gli altri suoi. Idealmente - dato che è la storia della stessa protagonista, Alcina - costituisce la prima parte di un racconto che poi continua nel secondo libro, anch'esso molto bello, intitolato "Tutta la vita".
La storia nasce in un piccolo borgo umbro vicino Città della Pieve, Alle Case Venie, luogo di origine e di vita della protagonista, Alcina. Lei vive in questo piccolissimo borgo assieme al fratello Aliseo e al cane Arduino, dopo aver perso entrambi i genitori, Astorre ed Amarantina. L’azione si svolge tra il 1943 e il 1945. Il borgo dev’essere uno dei tanti che sono alla periferia di molti centri dell’Umbria e della Toscana, per quanto ne so. Credo che in molte altre regioni d’Italia esistano situazioni analoghe. Spesso va a trovarli un amico, Spalterio, molto affezionato ai due fratelli.
La bellezza del libro - oltre che nel solito scorrevolissimo stile di scrittura della Petri - è proprio nella storia. Parliamo della fine del fascismo: nonostante la tranquillità della vita di campagna, le razzie dei tedeschi in cerca di cibo perseguitano anche la famiglia di Alcina. Che non fa eccezione nel suo antifascismo, sperando di poter vedere presto la fine di questo regime vessatorio che non condivide.
E la storia di Alcina, che spesso si intreccia con quella di una vicina di casale, la Jole, è tutta dedicata alla crescita del fratello Aliseo, descritto come “uno che ha la testa nel vento”, e che - proprio nel capitolo di apertura - lei cerca di responsabilizzare affidandogli un incarico delicato: quello di andare a prendere alcuni documenti che periodicamente il capo dei partigiani locali inviava a tutti gli antifascisti della zona perché conoscessero cosa occorreva fare in opposizione alle angherie dei fascisti. Aliseo all’epoca ha 17 anni. Alcina, nella sua vita solitaria di campagna, una sera vede lo spirito di suo padre nella legnaia, e intavola con lui un discorso. Il padre non ha ancora trovato pace dopo la morte.
La missione di Aliseo va a buon fine, e - probabilmente a seguito di alcune iniziative originate da quei documenti - il capo dei fascisti locali, il Minghetti, intensifica i suoi soprusi ai danni di tutti coloro che non erano d’accordo con lui. La situazione si ingarbuglia sempre più, finchè Alcina e i suoi (Aliseo e il cane), assieme alla Jole e alla sua famiglia, e a Spalterio, scappano per raggiungere i partigiani su una vicina montagna, il Pausillo.
Tutta la seconda parte del libro si svolge in montagna, e descrive le azioni dei partigiani volte a sterminare tedeschi e fascisti. E questa parte scorre ancor più in fretta della prima: la prima parte ha il ritmo della vita di campagna, di cui Alcina è completamente interprete; la seconda, invece, ha i ritmi e le ansie delle azioni di lotta che i partigiani compivano. Questa parte è stata molto eccitante per me, ricordandomi la vita che ho fatto a sette anni, quando - sfollato dalla mia città - mi ritrovai in un paesino della Toscana in mezzo alla lotta partigiana, che vedeva tra i collaboratori proprio mio padre, e che per questa attività rischiai più volte di perdere.
Dopo un certo periodo, e alcune azioni di rastrellamento di armi, Alcina, Aliseo, Spalterio e il cane si rifugiano in un cascinale abbandonato, la Malagronda, durante l’operazione di trasporto di una ricetrasmittente sistemata da un ferroviere di Chiusi, il Cuccagna. Dalla Malagronda si adoperano come collegamento con un aviatore inglese che, secondo le tattiche del tempo, avrebbe rifornito di ogni cosa, soprattutto di armi e munizioni, i partigiani del Pausillo. Da questo luogo la missione di collegamento con l’aviatore inglese non riesce ad essere portata a termine perché la ricetrasmittente si guasta.
La storia ha qui la sua svolta tragica: Aliseo, in una delle sue uscite, forse perché abbagliato dal sole, cade in una trappola tesagli dai fascisti. Alcina si preoccupa della scomparsa del fratello, e informa Spalterio, il quale, discretamente, viene a sapere che Aliseo è stato picchiato a sangue da Minghetti e dai suoi sgherri. Naturalmente non informa Alcina. Passato qualche giorno senza notizie, Alcina decide di tornare in paese - a Città della Pieve - da certi amici dove si recava spesso, i Balucani, e restare da loro fin quando non si saprà qualcosa di Aliseo. E - tra l’interessamento del Balucani e quello di Don Luigi, il parroco, che le promette di adoperarsi per il fratello - passa un altro po’ di tempo, fin quando, un giorno, un certo trambusto attira Alcina in paese. E vicino al centro si trova davanti una scena che ha suo fratello per protagonista incalzato dal Minghetti e dai suoi fascisti. Dopo averlo fatto urlare per un po’, il Minghetti - che, in paese si diceva, era da tempo desideroso di dare una lezione agli antifascisti - dato l’ordine di sparare ai suoi uomini, che non gli obbediscono, afferra un mitragliatore e ammazza Aliseo, sotto gli occhi della sorella Alcina.
Alcina, a quel punto, decide di tornare al Pausillo, a cercare i partigiani e Spalterio. E assieme ai compagni di armi, un giorno si ritrovano davanti proprio il Minghetti e i suoi, e Alcina lo uccide, pregando Spalterio di lasciarlo fare a lei, con un solo colpo in mezzo agli occhi.
La storia va avanti ancora un po’ e Alcina torna alle Case Venie, con il cane Arduino, che poco dopo, gli muore tra le braccia. Spalterio, tornato al paese - diciamo a guerra finita - torna da Alcina, e le chiede a tutti gli effetti di sposarlo, rubandole un bellissimo bacio, il primo della sua vita per Alcina. Ma l’avverte che sta per partire per l’Argentina. Alcina prende un po’ di tempo, e Spalterio le promette che le scriverà. E il libro si chiude qui, con le riflessioni di Alcina che si sente già anziana (quando non lo è affatto), e tra queste riflessioni una (riportata sulla quarta di copertina): Adesso lo sapeva veramente: una vita intera non era che tante vite una dopo l’altra, e la vecchiaia un distillato, un’essenza di tutte le vite vissute e abbandonate.
Ho raccontato, come non ho mai fatto nelle mie recensioni, un po’ delle cose del libro, a mio avviso le più importanti. Ma la bellezza di questo libro e della storia di Alcina sta nel modo in cui la Petri ci proietta tutti noi che abbiamo vissuto in modo abbastanza drammatico quegli anni, in quei tempi, riportandoci a quello che essi hanno significato per tutti noi Italiani. E lo fa con una semplicità e una chiarezza di linguaggio che continuano a far rivivere quei momenti in modo quasi fotografico, soprattutto visti dagli occhi di una persona - la protagonista - che ha vissuto sempre nella semplicità della campagna, ignorando persino la sua stessa vita e quello che poteva trarne, e addirittura l’amore per Spalterio, che in qualche modo traspare nelle prime pagine come sentimento di Alcina, e che si rivela solo nelle ultime, con la dichiarazione di Spalterio. Un libro che va letto, possibilmente prima di leggere il seguito nel libro successivo, di cui ho già parlato.
(Lavinio Ricciardi)
Romana Petri, Alle Case Venie, Marsilio, 1997 [ * ]