È sconvolgente pensare all'attività di Piero Gobetti in venticinque anni di vita. Ventiquattro e sette mesi, in realtà, e in una vita così breve anche i mesi contano, anche i giorni e le ore. A Parigi, quando ormai la malattia lo lasciava stremato, riportava sul suo diario, una dopo l'altra, l'annotazione dei giorni di malattia, quasi a dover giustificare con se stesso la forzata inattività.
È difficile per Moraldo, e sarebbe difficile per chiunque, misurare le proprie capacità su quelle di Piero, impossibile sperare di essere come lui, sconfortante l'idea di mettersi alla prova, vincendo la propria indecisione.
Moraldo incontrerà Piero casualmente, su una panchina del Bois de Boulogne. Con un tuffo al cuore lo riconoscerà, ma gli mancherà il coraggio di presentarsi, di spiegare che anche lui viene da Torino e che vorrebbe fargli domande, che ha tante cose da dirgli. Piero chiede a Moraldo il giornale, lo sfoglia, glielo restituisce con una parola di ringraziamento, si incammina verso la clinica di rue Piccini, dove è ricoverato. Il ragazzo spavaldo e altero è ora un giovane uomo dall'aspetto debole, fragile al punto da sembrare quasi dissolversi e svanire. Piero morirà il giorno successivo e Moraldo resterà con l'angoscia della sua mediocrità e del suo fallimento.
In un modo agile e coinvolgente il libro ci illumina sulla breve vita di Piero Gobetti, sulle sue idee e sulla sua incredibile attività di giornalista ed editore.
Voglio citare solo due aspetti del pensiero di Gobetti, che mi sembrano ancora prepotentemente attuali: la dignità del lavoro, punto fondamentale nella vita dei giovani, e l'importanza dell'azione politica.
"Bisogna restare politici nel tramonto della politica" è la frase del libro che più mi ha colpito.
(Rita Cavallari)
Paolo Di Paolo, Mandami tanta vita, Feltrinelli, 2013 [ * ]